Il paese dei bugiardi
C'era una volta, là/ dalle parti di Chissà,/ il paese dei bugiardi./ In quel paese nessuno/ diceva la verità,/ non chiamavano col suo nome/ nemmeno la cicoria:/ la bugia era obbligatoria./ Quando spuntava il sole/ c'era subito uno pronto/ a dire: "Che bel tramonto!"/ Di sera, se la luna/ faceva più chiaro/ di un faro,/ si lagnava la gente:/ "Ohibò, che notte bruna,/ non ci si vede niente"./ Se ridevi ti compativano:/ "Poveraccio, peccato,/ che gli sarà mai capitato/ di male?"/ Se piangevi: "Che tipo originale,/ sempre allegro, sempre in festa./ Deve avere i milioni nella testa"./ Chiamavano acqua il vino,/ seggiola il tavolino/ e tutte le parole/ le rovesciavano per benino./ Fare diverso non era permesso,/ ma c'erano tanto abituati/ che si capivano lo stesso. / Un giorno in quel paese/ capitò un povero ometto/ che il codice dei bugiardi/ non l'aveva mai letto,/ e senza tanti riguardi/ se ne andava intorno/ chiamando giorno il giorno/ e pera la pera,/ e non diceva una parola/ che non fosse vera. / Dall'oggi al domani/ lo fecero pigliare/ dall'acchiappacani/ e chiudere al manicomio./ "E' matto da legare:/ dice sempre la verità"./ "Ma no, ma via, ma và ..."/ "Parola d'onore:/ è un caso interessante,/ verranno da distante/ cinquecento e un professore/ per studiargli il cervello ..."/ La strana malattia/ fu descritta in trentatre puntate/ sulla "Gazzetta della bugia"./ Infine per contentare/ la curiosità popolare/ l'Uomo-che-diceva-la-verità/ fu esposto a pagamento/ nel "giardino zoo-illogico"/ (anche quel nome avevano rovesciato ...)/ in una gabbia di cemento armato./ Figurarsi la ressa./ Ma questo non interessa./ Cosa più sbalorditiva,/ la malattia si rivelò infettiva, / e un po' alla volta in tutta la città/ si diffuse il bacillo/ della verità./ Dottori, poliziotti, autorità/ tentarono il possibile/ per frenare l'epidemia./ Macché, niente da fare./ Dal più vecchio al più piccolino/ la gente ormai diceva/ pane al pane, vino al vino,/ bianco al bianco, nero al nero:/ liberò il prigioniero,/ lo elesse presidente,/ e chi non mi crede/ non ha capito niente.
(Gianni Rodari, Le favole a rovescio).
(Gianni Rodari, Le favole a rovescio).
Ci piace citare ancora Rodari nei giorni in cui due “pedagogisti” di spessore parlano della scuola pubblica.
L’una la Mastrocola suggerendo nel suo ultimo libro una scuola a tre livelli : per gli irrecuperabili, per il ceto medio, per i veri talenti, facendola finita una volta per tutte con le derive lassiste ispirate da don Milani e Rodari; il secondo, Silvio Berlusconi, impegnandosi a combattere contro la scuola di stato (ma non è anche presidente del Consiglio cioè colui che la scuola pubblica incarna, promuove, tutela come pilastro della società.?)in cui gli insegnanti inculcano principi contrari a quelli dei genitori.
Combattere la scuola pubblica per difendere la libertà di scelta delle famiglie: i figli sono solo proprietà privata dei genitori e non cittadini di questo paese; i genitori ne scelgono destini e futuro: ovviamente ciascuno secondo le sue possibilità economiche.
La scuola della Costituzione? un orpello inutile, difesa solo da quei radical-chic che recentemente hanno riempito le piazze italiane.
E il ministro della pubblica istruzione, messo in discussione dalle parole del premier, si dimette indignato? No, ma spiega, giustifica, chiosa il pensiero del capo: "Il pensiero di chi vuol leggere nelle parole del premier un attacco alla scuola pubblica è figlio della erronea contrapposizione tra scuola Statale e scuola Paritaria”!!!!.
La scuola pubblica è il luogo in cui l’Italia costruisce e costruirà il suo futuro: difendiamola!
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